giovedì 1 gennaio 1981

Domenico Grenci, Pipe di Calabria

(Da "Amici della Pipa", Anno V - n. 1 gennaio-febbraio 1982, p. 42)

In paesi come i nostri, ad economia prevalentemente contadina, l'artigianato ha sempre goduto di un particolare prestigio e di una collocazione ben precisa nella gerarchia socio-economica calabrese. Tradizionalmente l'artigiano era sempre stato colui che il proprio lavoro rendeva libero dai legami che vincolavano il contadino alla terra (e quasi sempre anche al padrone della terra).
Era pertanto ritenuto un privilegio la possibilità di mettere un figlio a bottega presso un artigiano; significava renderlo indipendente, libero dalla terra. «U Mastru» (il Maestro), dopo il padre era la persona che più contava nella vita di un ragazzo e «u discipulu» (il discepolo, l'apprendista) gli portava rispetto, gli doveva obbedienza, gli si legava con un vincolo di dipendenza-devozione e quasi sempre di affetto profondo e duraturo.
Questa concezione è viva ancora oggi nel costume di molti dei nostri paesi dove ancora, e forse per poco, c'è chi aspira ad andare a mestiere.
Io stesso ricordo che da bambino restavo affascinato per ore ad osservare con vero e proprio timore reverenziale un falegname, un calzolaio, un muratore, svolgere con gesti sapienti e sicure movenze il proprio lavoro. Quel fascino della manualità estrosa e ricca di ingegno permane anche oggi a tal punto che una delle mie categorie di valutazione di un uomo è il grado di eccellenza del suo lavoro.
E' per questo che io, autentico figlio del mio tempo ma con le radici ancorato a questa mia bella e antica terra, parlando a Domenico Grenci, pur essendone diventato amico, lo chiamo Maestro, con rispetto. Cioè senza l'affettata civetteria o il malcelato intendimento adulatorio con cui molti «impegnati» del nostro mondo «piparo» si rivolgono ai grossi nomi dell'artigianato; e purtroppo non solo ai pochi veri ed autentici artisti dell'arte nobilissima di fare pipe, ma anche e, purtroppo, soprattutto agli pseudo-artigiani che una moda ormai al limite del fanatismo spinge ad uscir fuori come funghi da un giorno all'altro.
La prima volta che misi piede nel suo laboratorio confesso che ero timoroso, quasi che entrassi in un mondo precluso ai curiosi. Un mondo che ora conosco bene e che di tanto in tanto mi regala qualche ora di serenità; e mi ripaga della levataccia e dei chilometri di curve che devo percorrere con la mia esausta Dyane per arrampicarmi fino a raggiungere, sull'Altipiano delle Serre, gli 800 metri di Brognaturo, il paesino di appena ottocento abitanti in cui risiede Domenico Grenci.
Nel paesino in cui è nato sessant'anni fa, Grenci è tornato a lavorare le sue pipe nel 1965, dopo quasi venti anni trascorsi negli Stati Uniti dove ha sempre lavorato il legno; di cui si può dire che conosca ogni segreto e la più intima natura tanto da essere un artigiano con solidissime, non comuni basi di tecnologia della materia prima che lavora.
In America ha intagliato a lungo il legno e la sua esperienza nella lavorazione della pipa è iniziata proprio con pipe-scultura che in USA erano e sono ancora oggi richiestissime. Possiede tuttora i cataloghi di una ditta americana in cui sono illustrate le sue pipe di allora, e me li mostra con orgoglio e con un certo velo di nostalgia negli occhi. Se ne ha il tempo e la voglia si «diverte» di tanto in tanto ancora adesso a scolpire qualcuno di questi piccoli capolavori.
La Pipa Grenci è veramente ed interamente sua. Sua perché la tira fuori lui dal ciocco migliore dei nostri boschi. Lui taglia personalmente i ciocchi che sono tutti di qualità veramente unica. Ci tiene a dire che il suo non è un taglio standard, è un taglio diverso da quello praticato dai produttori di abbozzi; ciò lo condiziona nella scelta del ciocco, che deve possedere caratteristiche di qualità superiore.
Io stesso ho visto a stagionare abbozzi e placche di dimensioni e qualità eccezionali, mai viste presso altri artigiani. Attualmente sta lavorando placche e abbozzi di radica tagliata e bollita nell'inverno 1977-78 e asciugata e stagionata naturalmente, su graticci di legno portanti sul davanti l'indicazione dell'annata.
Quando la radica è pronta per essere lavorata, è Grenci che personalmente modella tutti i pezzi – come lui stesso mi precisa – «a mano libera», direttamente alla sega a nastro. Quindi non intervengono, nella sua produzione, né macchine copiatrici né pantografi, ossia non esiste nel suo laboratorio nessuna macchina che, una volta impostato un modello, lo riproduca nella quantità voluta.
Dopo che la pipa viene forata alla perfezione passa alle diverse fasi di levigatura, affidate agli unici due aiutanti di Grenci: un giovane e poco loquace nipote ed un altro taciturno ragazzo, dei quali, dopo già tanto numerose mie visite, conosco appena la voce. Sono loro che levigano, lucidano, tingono, cerano.
Grenci tiene a precisare che la lucidatura è eseguita solo con passaggi successivi alle spazzole rotanti e con l'uso di paste abrasive lasciando il colore naturale o tingendo in mogano o noce… qui Grenci sorvola sui particolari ed io mostro di essere uomo riservato e rispettoso dei segreti del mestiere altrui. Mi dice però col suo largo sorriso e da dietro una nuvola di fumo che non c'è sulle sue pipe alcuna verniciatura o laccatura che, disturbando il legno, rovinano la pipa alterandone la traspirazione e in definitiva il gusto della fumata.
Perciò ogni pipa è un fatto a sé e viene tornita solo dopo che il maestro Grenci personalmente l'ha abbozzata alla sega circolare e modellata tenendo conto del migliore risultato che può ottenere dalla placca che ha in mano. Mi dice che «l'andamento della venatura deve convergere con il modello da realizzare»; anche quando lavora su modelli classici lo fa assecondando il più possibile la venatura affinché dia ad un modello obbligato, già noto, la migliore espressione del legno.
Mi rendo conto di quanto tutto ciò sia difficile ed affascinante ad un tempo: nel creare la forma libera l'artista asseconda la venatura e si sbizzarrisce seguendo il capriccio del legno, ma nel produrre un pezzo secondo un modello classico deve forzare la natura del legno entro lo schema di una forma che potrebbe anche non rendere, non evidenziare il meglio di sé. Nella produzione di serie, se ciò capita è evento casuale; quando invece l'artigiano Grenci porta il legno ad offrire il meglio di sé, è perché ha già predisposto durante il taglio del ciocco quella placca, quell'abbozzo, a dare la migliore canadese, la più bella billiard o la più robusta bulldog.
Grenci riesce in ciò in grandissima misura ed è per questo che ho potuto ammirare, ad esempio, centinaia di canadesi di ogni dimensione a cannello tondo, quadro, ovale o piatto, tutte diverse una dall'altra: nell'ambito della stessa forma non ci sono due sole pipe uguali, c'è sempre una differenza nei rapporti fornello-cannello, negli spessori, nell'altezza e larghezza del fornello, nel taglio del bocchino.
Alcune pipe della produzione dell'artigiano calabrese Domenico Grenci
Tutte però mostrano bellissimi disegni del legno, quasi sempre con venature di tipo fiammato; frequentissimo anche il legno con grana ad occhio di pernice. Devo comunque ammettere che la radica impiegata è, anche per le pipe meno quotate, di elevatissima qualità e a grana stretta, compatta; ed è inutile precisare – credo – che è «nostrana».
Dal punto di vista personale trovo che le pipe Grenci siano tutte molto leggere, eleganti, slanciate, gli orli dei fornelli sono tutti un roteare di occhi di pernice. Io che amo tanto le canadesi trovo che quelle di Grenci siano di una bellezza unica; le canne tutte di eccezionale lunghezza in rapporto alla testa, ed equilibratissime, inimitabili.
Per quanto riguarda la qualità del fumo trovo che sia eccellente: queste pipe danno e prendono moltissimo dal tabacco, si rodano facilmente e diventano buone in un tempo relativamente breve. Personalmente ne possiedo ormai parecchie perché quando vado da Grenci non manco mai di acquistare una o due delle sue pipe, che ormai sono una consistente presenza nella mia «pipoteca» (ahimé! si può dire?): sono tutte ottime da fumare e con delle croste invidiabili. Lo stesso Grenci, quando vado a trovarlo, mi chiede sempre con premura com'è la tale bulldog o la tale canadese come se si trattasse di persone e non di pipe.
Questo atteggiamento, più che del produttore, è tipico del fumatore di pipa: perché Domenico Grenci oltre a farle, le pipe, le fuma e direi che le fuma in continuazione: la pipa è sempre accesa in bocca e il laboratorio è disseminato delle sue pipe. Intendo per «sue» quelle che fuma perché, a differenza di tanti altri artigiani e produttori che molte delle loro pipe più belle le tengono nelle loro collezioni, Domenico Grenci di pipe sue da parte per sé non ne ha neppure una.
Con realismo tutto calabrese dice che con le pipe lui ci deve vivere; quelle che ha sono le pipe che fuma e che tra l'altro sono quelle non vendibili perché fallate e mal riuscite; quasi sempre non sono neppure rifinite. Quando le lascia sono da buttar via: la crosta è diventata così spessa che non le si può più caricare; allora ne prende una da una cesta, magari adattandogli il bocchino pochi momenti prima di caricarla e metterla in bocca. Una piccola curiosità: Grenci fuma una miscela composta da quindici toscani sbriciolati ed un pacchetto di Clan «tanto per profumare un po'» aggiunge col suo chiaro e cordiale sorriso.
Personalmente credo che Grenci curi poco il suo prodotto dal punto di vista promozionale anche se ciò ha i suoi risvolti positivi: per esempio non ha intermediari, per cui una o due volte all'anno è lui stesso che lascia il paesello e in treno se ne va per l'Italia a visitare i clienti rivenditori delle sue pipe. Con instancabile ostinazione continuo a chiedergli ogni volta perché le sue pipe non vengano presentate in scatole e sacchetti come persino quelle più umili presenti sul mercato. Con orgoglio comprensibile osserva che le cose buone si vendono da sole, che non è indispensabile, ma ci penserà prima o poi « quando ci saranno un po' di soldi da spendere, adesso servono altrove... ».
Anche questo finisce per essere un vantaggio ed io sorrido ancora pensandoci quando, tornando a Catanzaro, mentre guido mi sorprendo più volte ad infilare la mano in tasca per accarezzare la mia ultima, bellissima Grenci.

Floro Caccia

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